Tweety dovrà perdonarmi se gli rubo la battuta, ma è per una buona causa xD
Stavolta non è un gatto quello che vedo, ma il romanzo di Sylvia Kant!
Voi tutti lo conoscete con il titolo di "Antony, eh beh, sta per essere pubblicato dalla Newton!
Titolo nuovo, copertina anche, l'uscita è prevista per il 2 LUGLIO!
Un insieme di erotismo e romanticismo che lascia spesso con il fiato in sospeso... L'abbiamo già conosciuto, ma riscopriamolo ancora una volta!
Data di pubblicazione: 2 Luglio 2015
Casa Editrice: Newton Compton
Pagine: 677
Antony
Barker è un affascinante gigolò dal passato torbido, un presente
schizofrenico e il futuro quantomeno incerto. Un rapporto ambiguo e
morboso lo lega alla sua cliente numero uno, la crudele e potente Rachel
Norton, presidente della più grande industria farmaceutica
statunitense, la Norton & Faulk. Ed è proprio ad uno stage della
Norton & Faulk che viene invitata a partecipare la giovane
dottoressa Angela Palmieri...
Pronti per rivivere le forti emozioni provate con Antony?
L'AUTRICE:
Sylvia Kant è lo pseudonomo di una scrittrice Italiana che ha avuto grandissimo successo con questa sua nuova serie. Il primo era stato pubblicato verso la metà del 2014, ma ora è stato acquistato da una casa editrice, quindi tolto da Amazon e messo in tutte le librerie!
Pronti per rivivere le forti emozioni provate con Antony?
In ANTEPRIMA per voi, il PRIMO CAPITOLO di Angela - Sylvia Kant
Un serpente che studia la preda.
Se ne sta immobile, il viso in penombra, il corpo una sagoma scura contornata dal riverbero accecante del sole al tramonto. Alle sue spalle, al di là dell'ampia vetrata dell'attico, i grattacieli di New York.
Rachel non sa da quanti minuti sia lì, fermo, a fissarla come un predatore. Non è la prima volta che Antony la studia a quel modo. La fissità di un rettile.
Quelle rare volte, un brivido le era scorso lungo la schiena.
Un brivido di morte.
Era quella la sensazione che un roditore doveva provare di fronte all'innaturale, spietata immobilità di un mamba.
La stessa sensazione che, ora, sta provando lei.
Si solleva dal proprio giaciglio e socchiude le palpebre per metterlo a fuoco. I suoi occhi scorrono lungo la linea perfetta delle spalle, poggiate contro lo stipite della porta, la giacca scostata a mostrare il corpo prestante, le mani negligentemente infilate nelle tasche dei pantaloni. E le viscere si contraggono nella familiare morsa del desiderio.
Lo brama ancora. Dopo tutti quegli anni non ha mai cessato un solo istante di desiderarlo, quasi fosse aria da respirare, acqua da bere, cibo per nutrirsi.
L'aveva amato alla follia, fin dalla prima volta che l'aveva stretto tra le braccia, quando Clive Barker, il padre di Antony, l'aveva portata a conoscere il "fratellino".
Aveva temuto quel momento. L'aveva temuto per tutti i nove mesi della gravidanza di Livia, la moglie di Clive, la donna che l'aveva allevata e che, per più di sei anni, le aveva fatto da madre. Quando questa, finalmente, era riuscita a concepire un figlio vero, un figlio suo, Rachel aveva avuto il terrore di perderla. Era stata il suo adorato cucciolo per tutti quegli anni e ora, con l'arrivo del piccolo, sarebbe stata retrocessa.
Era inevitabile, così come le aveva fatto crudelmente notare suo padre, il ricco e potente Aaron Norton: "Quando le coppie non riescono ad avere figli, sai che cosa fanno?", le aveva chiesto, fissandola con quegli incredibili occhi grigi tanto simili ai suoi, "Comprano un cane" e, dicendolo, s'era stretto nelle spalle, "Lo coccolano, lo vezzeggiano quasi fosse un bambino, lo nutrono con le migliori leccornie, se lo portano a letto, ma non appena arriva un figlio, un figlio vero", aveva inarcato l'elegante sopracciglio castano, "Il cane torna ad essere un cane", aveva detto lentamente, scandendo le parole.
Seduto sulla poltrona di pelle del proprio studio, Aaron l'aveva afferrata per le braccia, sistemandosela tra le gambe aperte. In quella posizione, s'era ritrovata con la faccia quasi alla stessa altezza di quella del padre.
"Invece, per me", aveva mormorato, carezzandole i capelli, "Tu resterai sempre l'unico, vero, amore" e l'aveva baciata sulle labbra.
Il cane torna ad essere un cane...
Era arrivata all'ospedale con l'intenzione di approfittare della distrazione dei grandi per soffocare, una volta per tutte, il lieve respiro del neonato. Un conato di gelosia l'aveva travolta quando, non appena messo piede nella stanza del reparto di maternità, aveva visto Livia, seduta sul letto, che allattava il piccino, fissandolo con sguardo adorante.
Com'era bella, i lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle e quegli occhi grandi, dalle ciglia ricurve, che brillavano di gioia come pietre preziose.
Poi, la donna, sollevato il viso, l'aveva scorta e, mollato il fagottino all'infermiera che le stazionava accanto, aveva allargato le braccia per accoglierla.
"La mia bambina!", aveva esclamato con un sorriso abbagliante e uno sguardo colmo d'amore, "La mia bambina bellissima!" e gli occhi scuri le si erano riempiti di lacrime.
Rachel era corsa tra le braccia di Livia, inspirandone il profumo, un profumo che sapeva di biscotti appena sfornati, di bucato fresco, di torta alle mele, di pastelli di legno, di fruscianti quaderni dei compiti, di fiabe lette prima di andare a letto, di ninne nanne, di baci, di carezze e di tutte le cose che quella donna era sempre stata per lei.
Tutte le cose che sua madre Rebecca non era mai stata.
Gli unici gesti affettuosi le erano sempre giunti da suo padre Aaron e solo per questo l'aveva adorato tutto quel tempo.
Nei primi anni di vita, Aaron era stato l'unica fonte d'affetto. Per sua madre Rebecca, sempre ubriaca e drogata, Rachel non era mai esistita.
Durante la settimana, mentre il padre lavorava nella propria azienda farmaceutica, Rachel veniva affidata alle cure delle molteplici tate che s'erano avvicendate nel tempo.
Ma non il fine settimana.
No. Il fine settimana era solo per Aaron.
Quei due giorni, suo padre la teneva tra le braccia, la baciava, le leggeva le favole, la pettinava, la carezzava ovunque. A lungo. E lo stesso faceva lei con lui.
Era il loro segreto. Il suo piccolo angolo di tepore. E Rachel beveva quell'affetto come l'acqua un assetato.
Poi, nella loro vita, entrò Clive Barker. E nulla fu più come prima.
Insieme al proprio socio, Thomas Abbott, Clive aveva curato la costruzione di Norton Manor, il castello in cui Aaron aveva rinchiuso sia lei che la ricca moglie dissoluta, Rebecca Eisemberg, figlia del più potente banchiere d'america.
Quel bellissimo uomo dai capelli biondi e il sorriso accattivante, durante i lavori di ampliamento del maniero di suo padre, l'aveva sempre tenuta con sé.
Rachel era stata subito attratta da lui, dalla sua bellezza, dai suoi modi affettuosi e gentili.
Sembrava un angelo mandato dal cielo.
Poi, un giorno, Clive portò a Norton Manor la propria splendida consorte.
E Rachel s'innamorò ancora. Perdutamente.
S'innamorò di Livia, s'innamorò dei suoi occhi buoni, del suo sorriso luminoso, dei suoi modi dolci e allegri, s'innamorò dei suoi baci e di quei suoi abbracci improvvisi che la lasciavano senza fiato. Quella splendida coppia aveva, finalmente, portato la gioia e il calore nella sua fredda esistenza di figlia della ricchezza e del potere.
Era sempre stata una bimba gracile e triste, spesso disappetente, ma con l'arrivo dei Barker il suo umore e il suo aspetto migliorarono in modo repentino.
Suo padre Aaron, perennemente preoccupato per la salute della figlia, notò il drastico cambiamento e, seppur controvoglia, chiese ai Barker di occuparsi di lei, visto che la madre rifiutava la piccola e lui era sempre via per lavoro.
Fu così che Rachel cominciò a vivere con i genitori di Antony.
Tornava a Norton Manor solo nel fine settimana. Tornava da suo padre. E, per quei due giorni, lei era sua.
Soltanto sua.
Rachel avrebbe tanto voluto dimostrare a Clive e Livia il proprio affetto, così come faceva con Aaron, ma suo padre glielo proibì duramente.
Le disse che quello era il loro modo, il loro segreto, e che se l'avesse confessato ad altri, non le avrebbe più permesso di vedere i Barker, le disse che lui non le avrebbe più voluto bene e che se ne sarebbe andato per sempre, lasciandola sola con sua madre Rebecca in quel vecchio maniero buio e triste.
Ancora oggi Rachel non avrebbe saputo dire quale minaccia sortì maggiore effetto, ma non osò mai dimostrare il proprio affetto ad altri, così come faceva con suo padre.
Finché non nacque Antony.
"Questo è tuo fratello Antony", le aveva detto Livia e aveva invitato l'infermiera a cedere il fagottino alla bimba.
"Mio?", aveva chiesto Rachel, indecisa se prendere o no in braccio il piccino.
"Sì", aveva ribadito Livia con un sorriso caloroso, "Tuo"
Rachel aveva accolto tra le braccia quel fagotto profumato e i suoi occhi erano rimasti intrappolati da quelli seri del neonato.
Antony le aveva afferrato un dito con la piccola mano e non l'aveva più mollato, continuando a fissarla intensamente.
"Mio", aveva mormorato Rachel, decisa, "Mio", aveva ripetuto, mentre un'ondata d'amore l'aveva travolta, un amore così assoluto e profondo da superare quello per suo padre, perfino quello che provava per i Barker.
A lui sì! A lui avrebbe dimostrato tutto il proprio amore. Un amore che, un giorno, sarebbe stato eguagliato solo da quello per sua figlia.
Sua figlia Angela.
"Se n'è andata", lo apostrofa bruscamente, protendendo la mano ossuta per accendere la luce sul comodino della propria camera da letto, "Angela è partita"
Lo sguardo tagliente dell'uomo è fisso su di lei. Quanto ama quegli occhi glaciali e quel viso dalla bellezza ultraterrena.
"Ha capito chi sei, ha capito il tuo gioco e se n'è andata. Nessuno di noi la rivedrà più", aggiunge dura, poggiando la schiena contro la testata del letto.
Le labbra sensuali di lui si distendono in un impercettibile sorriso, scavando linee accattivanti ai lati della bocca. Un sorriso senza ombra di gioia.
Rachel ricambia il sorriso glaciale: "Sparirai dalla sua mente nel giro di poche settimane", dice secca.
Antony s'avvicina lentamente al grande letto, ricoperto da raffinate lenzuola di seta opaca, e le siede accanto. Le lunghe dita da pianista le accarezzano il viso magro, scendono a sfiorarle le spalle, per poi stringersela dolcemente al petto.
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